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Lettera aperta a Marina Terragni, su trans, transmedicalisti e transcult

Marina Terragni, Facebook e “Transcult”: lettera aperta

Al posto di commenti a status facebook, che si disperderebbero nei flames che ahimè dominano i social, ho pensato di rispondere a Marina, che ha tradotto un Manifesto di un gruppo di transmedicalisti inglesi, con una lettera aperta, che vuole solo mostrarle un altro punto di vista, e non attaccare il suo.

Marina Terragni, Facebook e "Transcult": lettera aperta

Lettera a Marina Terragni

Cara Marina,

all’interno del movimento LGBT sono uno dei meno critici verso il tuo pensiero, nonostante su molte cose il nostro pensiero diverga.
Mi hai citato (come appartenente al Coordinamento Attivisti Transgender Lombardia) nel tuo libro “Gli uomini ci rubano tutto” e anche in un vecchio articolo per Avvenire, e, sempre del Coordinamento Attivisti Transgender Lombardia avevi condiviso sui tuoi social il Comunicato Stampa di giugno.
Ecco, io condivido il tuo pensiero su molte cose: la condizione della donna nel mondo musulmano, ma anche di quella in Italia, oppressa dalle pretese dell’uomo etero, e anche su quella spinosa questione d’attualità di questa estate, sul bordello di bambole a Torino, e ti ringrazio anche per aver affiancato, negli anni Settanta e primi Ottanta le donne transgender nella loro battaglia per il riconoscimento legale del proprio genere d’elezione.

Tuttavia, a volte, mi dispiace leggerti quando scrivi di transgender relativamente al dibattito in corso attualmente.
Mi è capitato sottomano il tuo pezzo, “Essere transessuali contro il Transcult”, e vorrei darti il mio punto di vista di transgender ftm sul Manifesto dei transmedicalisti inglesi che citi, condividendone i contenuti.

Gli autori ed autrici del manifesto rivendicano per se stessi il termine “transessuali” (ormai deprecato dall’attivismo, per la sua origine psichiatrica e per il fatto che il “sesso”, oggettivamente, non si “cambia”), per indicare esclusivamente le persone in percorsi medicalizzati, prendendo le distanze dalle altre.

Portando avanti questo intento, queste persone si raccontano con un approccio patologizzante, con quella visione della propria condizione esistenziale che, nei gruppi di autocoscienza, molto simili a quelli che voi donne avete fatto decenni fa, proviamo a decostruire, passando da “ho una disforia” a “sono una persona trans”.

Nel loro manifesto, queste persone “transessuali” raccontano la loro storia dicendo del “bisogno” che hanno avuto dei medici per “essere esaminati” su “ciò che non andava”.
Parlano della via della medicalizzazione come l’unica legittima, l’unica che una persona sceglierebbe se fosse “veramente” trans, e sottintendono che sia giusto che, in fondo, il mondo accetti una persona trans solo dopo che il suo aspetto sia tornato ad essere conforme a quanto socialmente atteso.
Solo così si possono avere vite “felici e produttive” e “contribuire alla società”.

Nel loro documento chiariscono che per i trans (medicalizzati) ormai tutti i diritti sono stati raggiunti e chiederne altri comprometterebbe il loro privilegio rispetto ai transgender “non med”, quindi non hanno voglia che alla società civile siano chiesti nuovi compromessi.

marina terragni facebook

Marina Terragni Blog: lettera aperta

Inoltre bollano a “genuinamente” confusi (con un sano paternalismo) coloro che percorrono percorsi trans meno canonici e dicono che l’unica disforia possibile sia quella che comporta il desiderio del “cambio di sesso”, relagando tutto il resto ad un “disagio coi ruoli di genere”.

Immagino che come femministe vi sarete più volte trovate ad affrontare il problema di “essere il primo nemico di voi stesse” (come donne): quante donne avete aiutato ad emanciparsi dall’essere conniventi con l’immaginario “patriarcale” e dal proporre solo un unico modello dell’essere donna?
Quanto avete lavorato, insieme, col confronto, per decostruire questo pericoloso atteggiamento?

Ogni comunità deve fare critica interna. I gay devono combattere l’omofobia interiorizzata dei gay velati, magari di quelli che, nascondendosi nella Chiesa, propongono idee omofobe. Le donne, invece, devono lottare contro quelle donne che si sentono “più accettabili” di altre. So che questi sono discorsi “pericolosi”, perché il nemico principale rimane quello al di fuori delle nostre cerchie protette, ma questo non deve portarci a riflettere sui retaggi tossici che ci portiamo dietro, e che si portano dietro anche queste persone “transessuali” che, scrivendo questo documento, magari in buona fede, chiariscono che il loro sia l’unico modo legittimo di essere trans.
Quindi, proprio alla luce del lavoro che voi donne avete fatto su voi stesse, per “diventare” femministe, puoi capire la mia indignazione verso il pensiero di questo gruppo, e la mia preoccupazione verso il fatto che attivisti politici italiani riprendano questo pensiero, considerandolo giusto, onesto, sacrosanto, dimenticando quanto questo pensiero possa essere lesivo per chi transgender lo è, ma sta percorrendo un percorso diverso dal loro e non va delegittimato.

So quanto le femministe, molte di esse, abbiano a cuore la salute dei bambini questioning, e ci tengano che non si intervenga con la medicalizzazione prematuramente o in bambini che in realtà non sono transgender.
Se davvero il vostro punto di vista è questo, se siete così preoccupate degli effetti dei farmaci su queste persone, non dovreste essere le prime sostenitrici del percorso “non med” e del suo riconoscimento?

marina terragni blog
Premetto che anche se la medicalizzazione non è la mia strada, ho un enorme rispetto di coloro che hanno sentito di volerla fare per raggiungere la propria immagine di sé, ma se è sincera questa vostra preoccupazione sulle conseguenze della medicalizzazione, perché non sostenete i diritti di noi transgender non medicalizzati?
Se è vero che molte persone accedono alla medicalizzazione per un proprio sincero bisogno, altre ne farebbero a meno se una legge per il cambio documento le includesse senza chiedere il “pegno” di una cura ormonale di cui in alcuni casi non si sente il bisogno.

Se il problema è il “distinguere” tra “veri” e “falsi” trans prima di cambiare un documento, allora basterebbe far affiancare la persona, in questo percorso di cambiamento, da una figura opportunamente formata sui temi di identità di genere (e attualmente, a parte le grandi città, in Italia non è così, e molti professionisti o sono totalmente impreparati sul tema, oppure addirittura hanno approcci ideologicamente “riparativi”), in modo da assicurarsi (soprattutto per il bene della persona), che la scelta del cambio nome sia quella adatta alle sue esigenze.
Non sono d’accordo ad un approccio “patologizzante”, ovvero atto ad appurare se la persona “soffre o no di qualcosa”: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha depatologizzato la condizione transgender ed è questa la direzione verso la quale si sta andando.

Concludendo, se davvero la paura delle femministe è che l’autocertificazione possa, in pochi minuti, far si che un uomo etero maiale possa farsi rilasciare un documento al femminile per infilarsi negli spogliatoi femminili e fare il porco, io credo che ci siano molti strumenti giuridici per far si che questo non accada, per “bloccare all’ingresso” personaggi del genere (anche se mi chiedo davvero se un guardone arriverebbe a cambiare i documenti, cosa che comunque influirebbe sulla sua professione e sulla sua vita sociale, per infilarsi in uno spogliatoio e stare in mezzo alle donne nude, ma ormai da anni ho capito che alcuni uomini etero sono davvero capaci di tutto per essere molesti! basti pensare a tutti gli uomini etero che si reinventano queer, eteroflessibili e bisex solo per provarci con gli ftm non medicalizzati ed accedere alle loro forme fisiche femminili…).
Penso quindi che, se si lavorasse insieme, LGBT e femministe,  alle clausole da proporre in modo da evitare questi paradossi, potrebbe essere pensata anche in Italia una legge che permetta alle persone di cambiare i documenti senza l’obbligo di assumere ormoni, cosa che potrebbe rendere vivibili le vite di noi persone transgender non med e potrebbe permettere anche a chi volesse fare un percorso med di farlo con la serenità di aver già sui documenti il nome d’elezione.
Una legge di questo tipo, voluta anche da molti/e attivisti/e transgender medicalizzati/e italiani/e, come la nota attivista e scrittrice Monica Romano o l’avvocato ftm Gianmarco Negri, sarebbe una legge di civiltà anche per chi ha fatto percorsi canonici, poiché il riconoscimento delle nostre identità non dipenderebbe più da cambiamenti che “ci impegniamo a fare”, ma dall’identità personale di cui siamo portatori e portatrici.

5 commenti su “Lettera aperta a Marina Terragni, su trans, transmedicalisti e transcult”

  1. Wow… I can only read the English translation, so much of what has been said may be lost; that said, it sounds like the composer of this letter still doesn’t fully understand what it is going on.

    There is no such thing as no-op trans. There are those who are unable to obtain surgery for health reasons; however, they would be otherwise be approved for the procedure – these would be non-op transsexuals (usually FtM due to the poor outcomes). A no-op trans is simply a transvestite, or cross-dresser – these people don’t need specific requirements in law as this is a lifestyle choice; should we be legislating for Goths/Emos/Punks etc?

    1. Dear SevenHex staff,
      Your political manifesto has become known here in Italy and I have written a piece to those who support it.

      Here in Italy there is a movement of non-medical transgender people.
      These people have gender dysphoria and also need a legal recognition of their gender identity and the name they choose, but, for various reasons, they decided not to do the medicalized path (hormones or surgery).

      Non-med Italian transgenders are supported by the med transgender.

      Instead, it appears that in England medicalized transgenderers do not recognize “non med” as trans.

      For us it is not a theme of “gender role”. We are not transvestites or crossdresser. I am afraid that in England there are these internal discriminations in the trans world.

      I add that I am not queer and I support the need for a psychological process for the change of documents, but imposing hormones to change the documents is a violent act

    2. Dear SevenHex staff,
      Your political manifesto has become known here in Italy and I have written a piece to those who support it.

      Here in Italy there is a movement of non-medical transgender people.
      These people have gender dysphoria and also need a legal recognition of their gender identity and the name they choose, but, for various reasons, they decided not to do the medicalized path (hormones or surgery).

      Non-med Italian transgenders are supported by the med transgender.

      Instead, it appears that in England medicalized transgenderers do not recognize “non med” as trans.

      For us it is not a theme of “gender role”. We are not transvestites or crossdresser. I am afraid that in England there are these internal discriminations in the trans world.

      I add that I am not queer and I support the need for a psychological process for the change of documents, but imposing hormones to change the documents is a violent act

  2. Ti ringrazio per l’attenzione -non per la foto, molto scorretto- ma non riesco a capire perché ritieni di dover rispondere a me. Quella lettera non l’ho scritta io, è un doc sottoscritto da un gruppo di persone T inglesi, io l’ho tradotta e riproposta. Quindi tu stai rispondendo a loro, non a me. Quanto al mio punto di vista, se interessa, te l’ho già detto molte volte, e lo sintetizzerei così: 1. non mi sogno nemmeno di striscio di dire che uno o una debba chirurgizzarsi o ormonizzarsi per vivere come vuole, nella pace e nel rispetto. Quindi niente da obiettare sulla cosiddetta “piccola soluzione”, purché vi sia un momento, un punto, un passaggio, un giro, qualcosa che testimoni e accompagni quella difficile e particolare esperienza a cui diamo il nome di transizione, e che comporta necessariamente delle conseguenze relazionali e sociali. Il progetto di riforma del GRA è molto problematico 2. il problema non è tanto la finta “donna con il pene” che entra negli spogliatoi femminili e molesta le donne -anche se i casi non sono mancati. Il problema è tutta la liturgia del transcult che tu conosci benissimo, la cancellazione simbolica delle donne biologiche, dei loro corpi, l’adattamento violento del linguaggio, “the front hole” e tutte le orribili cazzate che leggiamo, e la violenza che si esercita sulle resistenti 3. in ogni caso, pur fatta salva ogni possibilità di confronto, come ti ho detto più volte, la questione T non può pretendere di occupare il centro del femminismo e/o imporsi come questione fondamentale dell’umano, perché è e resta un’esperienza umana limite e statisticamente poco rilevante, benché il transcult lavori attivamente per fare IL paradigma della libertà umana.

    1. Ciao Marina.
      Ho tolto la foto, anche se accompagno sempre le lettere aperte e le interviste con la foto della persona (Dall’Orto, Daniela Danna…).
      Potrebbe comparire ancora in alcune “cache”, ma adesso non compare più qui.
      Mi dispiace, perché era una bella foto, e non capisco cosa intendi per scorrettezza, a meno che tu non stia parlando di diritti d’autore della foto, e allora ok.

      Sento molto parlare a te e ad altri di Piccola Soluzione, ma ai tempi la proposta di piccola soluzione riguardava le persone che gli ormoni li prendevano (ma non volevano operarsi). Adesso sarebbe una legge inutile, a meno che non venga ripensata per i non med.

      Sul linguaggio “politically correct” di impronta queer e che si porta dietro la mentalità britannica ed americana del politicamente corretto, mi trovi d’accordo. L’organo genitale femminile non è “un buco”, anche se l’uomo etero medio vorrebbe immaginarlo così per la sua limitata visione del piacere sessuale (e questo si lega anche al tema delle mutilazioni genitali sulla clitoride).
      E’ assurdo che si parli così dell’organo delle donne, che è lo stesso organo degli uomini ftm non operati, ed è composto da molte parti anatomiche (considerarlo solo “una cavità” è svalutante e riconduce la donna o chiunque abbia un corpo femminile al solo ruolo sessuale “ricettivo”), e questa storia del “buco” non credere non venga usata, non dai queer ma da altri, per offendere gli ftm.

      Volevo anche precisare che a me non interessava tanto rispondere “a loro”, che operano e scrivono nell’ambito di una cultura molto diversa, ma agli italiani (tu, Giovanni o altri) che ne stanno parlando come di esempio positivo.
      Non penso che, per essere scettici e preoccupati verso le proposte di legge dove il cambio identitario è “istantaneo”, si debba essere per forza escludenti come questo gruppo di transmedicalisti. Io sono convinto che in Italia, dove il Movimento T è più avanti, se ne possa parlare.

      So che le ingerenze LGBT nel femminismo ti pesano, e infatti non contribuisco al problema (evito di parlare di quei temi che riguardano le donne, e se lo faccio, molto raramente, come nel caso del bordello di bambole, porto avanti un punto di vista simile al vostro), però chiaramente se il mondo femminista (o quello gay maschile) parla di trans, sento il dovere di rispondere portando il mio punto di vista (e in quel caso non mi sto intromettendo nel femminismo, ma sto solo facendo chiarezza sui mio tema.
      Come vedi non mi interessa farlo in modo “oppositivo”. Voglio solo chiarire perché, comunque, il punto di vista di queste persone è discriminatorio verso percorsi diversi dal loro.
      E’ possibile anche che chi non sia coinvolto in questo tema non si renda conto di queste sfumature, e allora dedico del tempo a chiarire.

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